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Terremoti e normativa edilizia: Giulia Panedigrano sul ruolo delle tragedie nel migliorare il modo di costruire

Apr 24, 2023Apr 24, 2023

23 maggio 2023

La maggior parte dei miglioramenti al modo in cui costruiamo sono avvenuti in reazione a tragedie fatali, afferma Giulia Panedigrano, elogiata nel concorso di scrittura RIBAJ/Future Architects 2023

Giulia PanedigranoParte II, Università di StrathclydeCommendato

Nella notte del 17 agosto 1999 un terremoto colpì il Golfo di İzmit, in Turchia, causando gravi danni alle città vicine, con una portata minacciosa che arrivò fino a Istanbul. Questo evento ha dato origine a una serie di norme antisismiche senza compromessi, motivate dalle accuse secondo cui l’industria edile turca aveva troppo spesso dato priorità ai costi rispetto alla sicurezza. Eppure, 24 anni dopo, una notizia fin troppo familiare è stata trasmessa in tutto il mondo: decine di migliaia di edifici furono rasi al suolo nella notte del 9 febbraio in seguito a quello che oggi è noto come il terremoto Turchia-Siria del 2023. '.

L’area colpita (all’incirca grande quanto la Germania) ha subito più di 10.000 ondate di scossa di assestamento nel mese successivo: dati spaventosi, che dipingono un quadro di natura spietata che non manca mai di umiliare noi esseri umani. E' un'impressione solo in parte vera. Non è che non abbiamo continuamente dimostrato la nostra capacità di estendere la natura ben oltre i suoi limiti, e non ci manca l’intraprendenza per far fronte a tali eventi, come un rapido sguardo alle tradizionali (e più rudimentali) strategie antisismiche può dimostrare. Non è un segreto che gli edifici che hanno funzionato meglio durante il terremoto del 1999 fossero i cosiddetti "himis", strutture vernacolari turche fatte di legno con un semplice tamponamento in muratura. La loro resistenza alle vibrazioni incessanti superava ampiamente quella delle costruzioni in cemento e acciaio. E si potrebbe guardare ancora più indietro nel tempo: dopotutto i terremoti non sono un’invenzione del XX secolo.

Correva infatti l'anno 1783 quando un devastante terremoto rase al suolo migliaia di paesi della Calabria, la regione più meridionale dell'Italia continentale. Esattamente 200 anni dopo, nel 1983, il professore dell'Università della California Stephen Tobriner ripercorse gli eventi descrivendo il sofisticato – ma raramente discusso – sistema di costruzione antisismico ideato dagli architetti italiani dell'epoca, “la casa baraccata”.

La risposta ingegneristica al disastro naturale, progettata per resistere alle ripercussioni delle forze laterali brute, non è ciò che rende notevole il caso della Calabria. Nella storia dell'edilizia, che è una storia lunga quasi quanto quella dell'umanità, la maggior parte dei miglioramenti nel modo in cui costruiamo si sono verificati in reazione a tragedie fatali. Tuttavia il sistema della baraccata è d’attualità oggi per due ragioni.

Anche se finora le isole britanniche non hanno avuto incidenti con grandi terremoti, hanno avuto una buona dose di incontri con altri tipi di tragedie

In primo luogo, poiché i terremoti sono durati mesi, scienziati provenienti da tutta Europa hanno potuto visitare la regione annientata e isolare, tra le macerie e le macerie, gli edifici ancora in piedi da quelli che erano crollati: un’opportunità unica per analizzare la resistenza agli agenti atmosferici. contesto di fallimento edilizio.

In secondo luogo, per la prima volta nella storia moderna, uno studio accademico concertato fu commissionato dal governo borbonico che all’epoca governava la Calabria. L'obiettivo era registrare gli effetti del terremoto e sviluppare linee guida per la ricostruzione. Lo studio ha evidenziato le inefficienze dei metodi costruttivi tradizionali calabresi, ha proposto soluzioni a questi problemi e, soprattutto, è diventato in seguito una politica.

A quei tempi la maggior parte delle case calabresi erano costruite in pietra o in mattoni crudi, materiali non rinomati per le loro proprietà antisismiche ma affidabili e facili da reperire. In effetti, continuarono ad essere utilizzati fino al XX secolo. Lo studio proponeva che, per contrastare la natura fragile di questi materiali, che cedevano facilmente ai carichi orizzontali che dovevano improvvisamente sopportare, gli edifici dovessero essere concepiti come unità; ogni componente di questa unità è collegato all'altro e, soprattutto, rinforzato da rinforzi diagonali in legno.